PCR alta: l’importanza di alcune proteine sieriche nella diagnostica clinica
Il sito "il Centro Tirreno.it" utilizza cookie tecnici o assimiliati e cookie di profilazione di terze parti in forma aggregata a scopi pubblicitari e per rendere più agevole la navigazione, garantire la fruizione dei servizi, se vuoi saperne di più leggi l'informativa estesa, se decidi di continuare la navigazione consideriamo che accetti il loro uso.
19
Ven, Apr

PCR alta: l’importanza di alcune proteine sieriche nella diagnostica clinica

PCR alta: l’importanza di alcune proteine sieriche nella diagnostica clinica

Articoli Nutrizione
Typography
  • Smaller Small Medium Big Bigger
  • Default Helvetica Segoe Georgia Times

La PCR è un esame che richiedo spesso ai pazienti che vengono presso il mio studio a visitarsi. La ritengo come un punto di partenza importante per avere poi un quadro clinico maggiormente definito. Ma vediamo bene, in che modo può essere utile allo specialista quest’esame? Nell’articolo vi ho parlato di questa strana ma necessaria proteina. Buona lettura!

PCR alta: l’importanza di alcune proteine sieriche nella diagnostica clinica
PCR alta: l’importanza di alcune proteine sieriche nella diagnostica clinica

 

I biomarcatori del siero possono rilevare cambiamenti subclinici nell’infiammazione e ci dicono tanto riguardo a ciò che sta accadendo nel nostro organismo. Ovviamente, i parametri specifici per una data malattia infiammatoria, come lo sono le malattie autoimmuni, gli stati di flogosi particolari, a volte possono essere soddisfacenti, diagnosticamente parlando, altre volte lo sono meno. Tuttavia, le proteine ​​di fase acuta di infiammazione sono spesso incluse nei pannelli di screening come marcatori sensibili di infiammazione. Le concentrazioni sono basse negli animali sani, ma possono aumentare rapidamente con l’infiammazione. Così come la VES, anche la proteina C-reattiva (PCR) dispone di una certa rilevanza clinica che suggerisce una possibile utilità nel monitoraggio del controllo di malattie infiammatorie, tumori, malattie autoimmuni, e altro ancora.

Ma vediamo insieme: che cos’è questa proteina C reattiva? La proteina C reattiva (PCR) è un indice infiammatorio, i cui valori ematici si innalzano in risposta ad un meccanismo di difesa che il nostro organismo svolge nei confronti di un corpo estraneo al suo interno. La produzione di PCR avviene principalmente a livello epatico, ma anche negli adipociti, i quali sono anche sede di produzione di citochine infiammatori importanti, in risposta a stimoli infiammatori di diversa natura. Cosa fa questa proteina nello specifico? Essa va a legarsi alla parete cellulare batterica, ed in particolare complessandosi con la fosfatidilcolina, in modo che ne possa permettere il processo di fagocitosi e la degradazione ad opera dei monociti. Quand’è che i suoi valori ematici si innalzano? Innanzitutto, i valori di riferimento della stessa sono compresi in concentrazioni tra 5-6 mg/L, ed in particolare, il valore medio della proteina C reattiva è compreso tra 0,5 mg/l e 10 mg/l, in relazione ovviamente all’età e al sesso del paziente. Quando si ha un processo infiammatorio, il valore della proteina C reattiva può raggiungere valori molto elevati, fino a 500-1.000 mg/L, suggerendo appunto un meccanismo di difesa del corpo nei confronti del patogeno.

Quali sono, in particolar modo, le condizioni cliniche che fanno innalzare i valori della PCR? Soprattutto quando ci troviamo di fronte a malattie reumatologiche, autoimmuni, infezioni batteriche, tumori e traumi, e rispetto alla velocità di eritrosedimentazione (VES), la proteina C reattiva risente maggiormente, ovvero, è più sensibile alle risposte interne di infiammazione nell’organismo. Tuttavia, un valore di proteina C reattiva cronicamente elevato è stato anche riscontrato come fattore predisponente ad un aumento del rischio cardiovascolare, così come lo è l’omocisteina sierica elevata, di cui ho anche discusso a lungo in articoli precedenti. .

Quindi, detto ciò, ora ci interroghiamo sicuramente sul fatto che questa proteina manchi di specificità. Certo, la PCR, come altre proteine ​​della fase acuta, manca di specificità e ciò richiede l’inclusione di biomarker aggiuntivi, in combinazione con le APP, gli autoanticorpi, le analisi su materiale biologico, per migliorare la specificità della malattia. Infatti, il dosaggio dei livelli ematici di proteina C reattiva, unitamente a quello di altri valori ematici quali LDL/HDL, omocisteina, colesterolo totale, APOB/APOA1, trigliceridi, serve per avere un quadro più completo dell’infiammazione, del rischio cardiovascolare, ma non può sostituirsi completamente ad essi (in quanto indice aspecifico dell’infiammazione).

Le condizioni che predispongono alle malattie immuno-mediate sono scarsamente comprese, così come lo sono per le neoplasie, per le condizioni degenerative infiammatorie, ma generalmente tali malattie sono associate ad un appropriato targeting di esami specifici, che vengono spesso eseguiti in conseguenza alla valutazione dei sintomi, dei segni e dell’evidenza di questo campanello importante d’allarme  (PCR) che lo specialista prende in considerazione.
Per questo lo ritengo un esame importante da tenere in considerazione, ed infatti, la maggiore conferma di avere davanti un quadro clinico e diagnostico di una certa tipologia riesco ad ottenerla unendo i sintomi, le evidenze strumentali, le analisi specifiche, supportate in primis da quelli che definisco “importanti campanelli d’allarme”, come lo è la PCR per esempio.

 

Ho scritto e condiviso questo articolo
Francesco Garritano
Author: Francesco GarritanoWebsite: http://ilcentrotirreno.it/nutrizione/
Responsabile Scientifico del Supplemento NUTRIZIONE del quotidiano online "ilCentroTirreno.it"
Biologo Nutrizionista e Professionista GIFT. Studio, Passione ed Esperienza per il benessere fisico-psichico dei miei pazienti! Nel 2003 conseguo la mia prima laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche, voto 110 su 110 e lode, con tesi di laurea in Biochimica Applicata che diventa pertanto la prima importante esperienza in campo farmaceutico. Nel 2007 ritorno “sui libri” per conseguire nel 2009 la seconda laurea in Scienze della Nutrizione con voto 110 su 110 e lode. Il passo seguente è l’abilitazione per avviarmi da subito alla professione di biologo nutrizionista. L’inizio di questa nuova avventura coincide con la seconda professione di docente e relatore in vari convegni su tutto il territorio nazionale, in quanto responsabile scientifico della NutriForm, società di formazione ed eventi.

Ti potrebbero interessare anche:
home-2-ads-nut-cca-001